oppio

Individuato nel sito sommerso della Marmotta il luogo dove avvenne circa ottomila anni fa la domesticazione della pianta

Primato mondiale delle antiche popolazioni che abitavano il lago di Bracciano per l’origine della coltivazione del papavero da oppio. Recentissime ricerche evidenziano infatti che le più antiche testimonianze sulla sua coltivazione sono state rinvenute nel corso degli scavi subacquei che hanno interessato il villaggio sommerso neolitico della Marmotta, il più antico insediamento di sponda dell’Europa occidentale. Un interessantissimo studio condotto dal naturalista e botanico Aurelio Manzi e pubblicato nel libro “I progenitori delle piante coltivate in Italia” da Meta Edizioni indica in modo inequivocabile che le prime testimonianze archeobotaniche inoppugnabili relative alla coltivazione della specie sono venute alla luce nel sito neolitico de La Marmotta (5881-5636 a.C.), sulle sponde del lago di Bracciano. Sono i tempi in cui si compie la prima grande rivoluzione dell’umanità con il passaggio da una società di raccoglitori a quella di coltivatori. Nel sito de La Marmotta, scoperto a circa 12 metri di profondità nel 1989 in occasione dei lavori di posa delle condotte del nuovo acquedotto del lago di Bracciano, e finora solo parzialmente indagato, “sono state rinvenute – scrive Manzi – numerose capsule, semi ed altri resti attribuiti sia alla forma selvatica che a quella coltivata del papavero da oppio. Questi ritrovamenti – sottolinea ancora l’autore – sembrano testimoniare proprio il momento di domesticazione e coltivazione del papavero d oppio a partire da Papaver Setigerium”. A spiegare le funzionalità di questa pianta nella società dei Marmottani è stata Maria Antonietta Fugazzola Delpino, allora Soprintendente alla Preistoria e che all’epoca del rinvenimento del villaggio sommerso coordinò gli scavi subacquei e il recupero di materiali tra i quali anche undici piroghe monossili. Dal papavero da oppio coltivato nei campi “si raccoglievano – ha scritto Fugazzola Delpino in Un tuffo nel passato 8.000 anni fa nel lago di Bracciano – i semi da mangiare e schiacciare per estrarne olio e probabilmente si utilizzava il lattice per scopi medicinali e/o allucinogeni”.

Non è in Asia ma in Europa che prende così il via la coltivazione de papavero da oppio. Manzi nel citato libro scrive “la coltivazione del papavero da oppio, contrariamente ad un luogo comune molto radicato, ha avuto origine in Europa e nello specifico in Italia, e non nel continente asiatico”. Successive le datazioni di atri rinvenimenti. “I ritrovamenti archeobotanici che riguardano la Spagna – scrive ancora il botanico Manzi – seguono di qualche secolo quelli italiani”. A citare il sito spagnolo, tra gli altri, è anche Giorgio Samorini nell’articolo on line “Archeologia dell’oppio” che riporta anche una mappa dei reperti archeologici vegetali più antichi ascrivibili al papavero da oppio e che cita il sito archeologico della Cueva de los Murciélagos, localizzata a Zuheros in provincia di Córdoba per il rinvenimento di semi di papavero da oppio risalente al 5360 a.C, oltre tre secoli dopo il sito della Marmotta. “Nel sito della Marmotta – commenta ancora Samorini – sono stati rinvenuti semi sia combusti che non, e resti carbonizzati di dischi stigmatici; le dimensioni dei semi sono simili alla specie coltivata, mentre i dischi stigamitici presentano caratteristiche intermedie fra la forma selvatica e quella coltivata”. Le peculiarità di questa pianta, note ai Marmottani già ottomila anni fa, vengono sottolineate da Aurelio Manzi. “Dalla capsula immatura incisa si ricava l’oppio, lattice che contiene diversi alcaloidi tra i quali codeina, morfina ed eroina. In passato il papavero è stato largamente impiegato quale anestetico e sedativo; probabilmente, il nepente degli antichi, la sostanza che cancellava dolori e tristezza negli dei, – scrive ancora Manzi – era proprio l’oppio”. “Il papavero – sottolinea ancora Manzi – veniva frequentemente associato a diverse divinità femminili mediterranee, tra queste anche Cerere, spesso raffigurata con capsule di papavero tra le mani”.

Graziarosa Villani

Da Gente di Bracciano n. 29 Gennaio 2021

Di Graziarosa Villani

Giornalista professionista, Laureata in Scienze Politiche (Indirizzo Politico-Internazionale) con una tesi in Diritto internazionale dal titolo "Successione tra Stati nei Trattati" (relatore Luigi Ferrari Bravo) con particolare riferimento alla riunificazione delle due Germanie. Ha scritto per oltre 20 anni per Il Messaggero. E' stata inoltre collaboratrice di Ansa, Il Tempo, Corriere di Civitavecchia, L'Espresso, D La Repubblica delle Donne, Liberazione, Avvenimenti. Ha diretto La Voce del Lago. Direttrice di Gente di Bracciano e dell'Ortica del Venerdì Settimanale, autrice di Laureato in Onestà (coautore Francesco Leonardis) e de La Notte delle Cinque Lune, Il processo al Conte Everso dell'Anguillara (coautore Biagio Minnucci), presidente dell'Associazione Culturale Sabate, del Comitato per la Difesa del Bacino Lacuale Bracciano-Martignano, vicepresidente del Comitato Pendolari Fl3 Lago di Bracciano.