Riceviamo e volentieri pubblichiamo
In riferimento agli articoli pubblicati dal Messaggero e Repubblica in data 09/06/2019 o trasmessi in recenti interventi televisivi, relativi all’allarme per la progressiva riduzione di medici negli ospedali pubblici, specialmente nelle discipline chirurgiche e nei Pronto Soccorso, occorre integrare alcune osservazioni.
Può risultare indubbio che molti neolaureati e/o neo specializzati optino per trasferimenti all’estero dove le condizioni economiche e professionali appaiono più gratificanti e immediate dopo tanti anni di studio (considerare che, in Italia una specialità chirurgica comporta 5 anni di studio, oltre i 6 del corso di laurea in Medicina, per un totale di 11 anni di formazione !).
Ma le discipline chirurgiche in realtà non attraggono più soprattutto perché considerate ad alto rischio di denuncia per risarcimenti.
La prospettiva di entrare in sala operatoria con un avvocato dietro le spalle non risulta attraente; in particolare se si debbono affrontare interventi di “Chirurgia Maggiore” per patologie o traumi complessi, con possibilità di complicanze se non di insuccessi.
Negli ospedali restano al momento i medici più anziani, più esperti ma sempre più affaticati e demotivati, con la prospettiva di arrivare presto in quiescenza; con progressivo esaurimento degli organici.
I chirurghi giovani optano per lo più per attività in Case di Cura private ove è possibile svolgere interventi di “Chirurgia Minore” o comunque “selezionabile”; esposta a minori rischi di insuccesso e relative richieste di risarcimento, con tempi di apprendimento più rapidi e meno impegnativi.
Di contro, risulta fiorente l’attività medico-legale, effettuata da consulenti di varia provenienza (non tutti i consulenti peritali hanno infatti il titolo specifico e, non tutti ma molti, provengono da scarse o brevi esperienze di sala operatoria).
Occorre inoltre sottolineare che ci troviamo ormai ad operare in un Paese ad alta, eccessiva litigiosità, dove si primeggia (con soddisfazione) per ottenere risultati con modalità anche scorrette. Studi Legali che si offrono a istruire cause “facili” senza spesa, con la prospettiva di percentuale di pagamento successiva, in caso di vittoria. Questo metodo attira in particolare le categorie meno abbienti, per la prospettiva di possibili guadagni.
Occorre osservare ancora che la denuncia, in sede civile, può essere effettuata fino a distanza di 10 anni dall’evento; ma le assicurazioni professionali coprono il rischio per un tempo sensibilmente minore. E molti ospedali e Case di Cura non hanno polizze assicurative. Ne deriva un rischio inaccettabile e insostenibile per gli operatori sanitari.
Ma se è vero che risultano negative circa il 90% delle cause penali e circa il 70% di quelle civili, nessuno, soprattutto nell’ambito della governance politico-sanitaria, si pone la domanda che ci possa essere “qualcosa di strano” nel sistema?
Chi sbaglia è giusto che paghi; ma la regola deve valere per tutti: chirurghi certamente ed in primis, ma anche per chi promuove e/o istruisce cause sbagliate o peggio “temerarie”! ( inoltre va considerato che il Chirurgo è costretto a decisioni delicate nel breve lasso di tempo dell’ atto operatorio, mentre chi intenta la causa ha a disposizione un ampio tempo di riflessione, riposo e possibilità di consultazione di varie settimane).
In altri Paesi vige il deposito cauzionale presso il tribunale.
Se si vince, si recupera la cauzione e si viene ristorati dal giusto risarcimento. Se si perde la causa, si perde la cauzione e magari si è esposti al pagamento di ulteriore penale. Questo sarebbe sufficiente, in particolare nel nostro Paese, a ridurre drasticamente le denunce “facili”, con notevole risparmio di tempo e denaro.
Ma forse troppi operatori del settore sono interessati a mantenere l’attuale status!
Si è tentato di compensare la complessa negatività degli aspetti descritti con l’accrescimento rapido della medicina difensiva (il proliferare di esami inutili e costosi, la ricerca di consensi informati esasperati quanto inutili, l’esigenza dicontinui aggio rnamenti ormai degenerati in business) che non ha disincentivato la fuga dagli ospedali.
Occorre però ricordare che non sono cessate e non cesseranno mai le patologie severe e la traumatologia complessa.
A chi verranno affidate in un prossimo futuro?
E’ probabile che inizieranno nuovamente i viaggi della speranza, magari ricorrendo a medici italiani, ben strutturati e divenuti esperti all’estero!
Marcello Marini, già primario ortopedico