Trecento milioni di euro l’anno, novantamila metri cubi di rifiuti di bassa, media ed alta radioattività, decine di depositi temporanei di scorie, il 98 per cento di barre di combustibile in fase di riprocessamento in Francia e nel Regno Unito, un miliardo e mezzo di euro per un deposito nazionale di superficie e annesso parco tecnologico da realizzare in base a 28 criteri, quattro referendum abrogativi – tre nel dopo Chernobyl (1987) e uno nel dopo Fukushima (2011) –  due commissioni bicamerali di inchiesta, una vicenda giudiziaria e la tariffa A2 elettrico a carico di famiglie e imprese italiane. Sono dati e numeri dell’eredità del nucleare italiano e dell’attività di decommissioning in corso.

Se la mappatura dei siti da dismettere è tracciata, resta tutta da giocare la partita per individuare il luogo dove collocare il deposito nazionale. Si gioca ancora a carte coperte. E’ assolutamente riservata la Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee (CNAPI) messa a punto da Sogin e da pubblicare a cura dei ministeri Ambiente e Sviluppo Economico.

Dopo i fatti di Scanzano Ionico del 2003, quando la protesta scongiurò l’ipotesi di costruirvi il deposito, ora la parola d’ordine è “partecipazione”. Non più imporre dall’alto, ma cercare di coinvolgere, col ricorso anche a massicce campagne informative, istituzioni e cittadini.

Tutto questo fa slittare il cronoprogramma originario e con i ritardi lievitano anche i costi per le famiglie che non hanno piena consapevolezza di essere finanziatori del processo di dismissione del nucleare, un settore che vede l’Italia agire a livello internazionale da pioniera.

L’intero processo ruota attorno alla Società Gestione Impianti Nucleari-Sogin, sotto il controllo dell’Ispra. La relazione consegnata il 1° ottobre 2015 ai presidenti di Camera e Senato dalla commissione bicamerale di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, che lavora nel solco di quella attiva nella XVI Legislatura, fotografa la situazione attuale.

Si mettono in evidenza tre criticità. La prima, lapalissiana, è la “mancanza di un deposito nazionale” che “lascia irrisolta anche la questione dei rifiuti prodotti dall’impiego delle materie radioattive nell’industria, nella ricerca e soprattutto nella sanità”. La seconda criticità è indicata nella “lentezza” del decommissioning. Terza criticità, secondo la commissione, la transitorietà delle funzioni di controllo. “A fronte degli slittamenti dei tempi – commenta la commissione nella relazione – la previsione dei costi è aumentata del 20 per cento circa nel 2008 e del 29 per cento circa nel 2011”.

Si guarda inoltre ai consumatori. “I costi – scrive la commissione – sono a carico dei clienti finali attraverso una specifica componente tariffaria (A2), la cui entità è periodicamente determinata dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas ed è oscillata negli anni intorno ad un valore medio dell’ordine di un decimo di centesimo di euro per chilowattora consumato”. Un tesoretto affidato alla Sogin che nel 2014, secondo i dati della commissione, ammontava a 390 milioni di euro l’anno. Somme alle quali va aggiunto il miliardo e mezzo di euro per il deposito nazionale: 650 milioni per progettazione e realizzazione, 700 milioni per infrastrutture interne ed esterne, 150 milioni per il parco tecnologico. 

Un cambio di colore, da verde a marrone, caratterizza gli obiettivi di media durata. Se infatti, in prima istanza, l’ipotesi è stata quella di puntare ad un deposito in condizione di green field, a “campo verde”, oggi l’obiettivo è quello della condizione di brown field, che prevede sostanzialmente la messa in sicurezza dei materiali mediante confezionamento in fusti, posti in moduli di cemento, da stoccare in depositi temporanei, tutto in attesa del deposito nazionale. Ma dove? I criteri di esclusione tirerebbero fuori dalla partita Marche, Umbria e parte dell’Emilia Romagna.

Dalle audizioni in commissione è emerso che in termini di rifiuti il Piemonte detiene il primato di rifiuti a maggiore radioattività, mentre il Lazio ha quello della quantità. Sogin opera in otto siti. Si tratta delle quattro centrali di Trino (Vercelli), Caorso (Piacenza), Latina e Garigliano (Caserta). Vi sono poi gli impianti ex Enea Fabbricazioni Nucleari di Bosco Marengo (Alessandria), Opec e Ipu di Casaccia (Roma) e Itrec di Trisaia di Rotondella (Matera), Eurex di Saluggia (Vercelli).

Questo ultimo sito è stato al centro di una vicenda giudiziaria che si è conclusa il 27 febbraio scorso con l’assoluzione “perché il fatto non sussiste” di Giuseppe Nucci, già amministratore delegato Sogin, accusato di aver preso tangenti dalla Giuseppe Maltauro spa per affidare l’appalto di Cemex, struttura dove solidificare i liquidi radioattivi delle piscine Eurex. Su proposta dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, la società è stata commissariata dal prefetto di Roma il 22 gennaio 2015.

Tra i siti temporanei, oggi commissariato, preoccupa il Cemerad di Statte (Taranto), dove sono stoccati rifiuti ospedalieri, anche se un atteso stanziamento di 10 milioni di euro per la messa in sicurezza ha rasserenato i parlamentari della commissione. Per la bicamerale va risolta anche la questione dell’Ispettorato per la Sicurezza Nucleare e la Radioprotezione (Isin), istituito con decreto legislativo 45/2014, “ma tuttora inesistente per la mancata nomina dei suoi organi”.

La localizzazione del deposito (www.depositonazionale.it) resta la questione madre. L’incognita è se basterà la previsione complessiva di 1.500 occupati l’anno per 4 anni e di 700 occupati per la gestione a convincere i territori ad ospitare la struttura o se invece prevarrà l’atteggiamento del Ninby, “non nel mio giardino”.

Per vincere la paura Giuseppe Zollino, presidente Sogin, indica una mission: “comunicare il deposito”. Si vuole, per sollecitare candidature spontanee, colmare il gap informativo, favorire la trasparenza, coinvolgere i territori.

122^ Sessione – Tratto da tesina Esame Odg di Graziarosa Villani (2016)

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Di Graziarosa Villani

Giornalista professionista, Laureata in Scienze Politiche (Indirizzo Politico-Internazionale) con una tesi in Diritto internazionale dal titolo "Successione tra Stati nei Trattati" (relatore Luigi Ferrari Bravo) con particolare riferimento alla riunificazione delle due Germanie. Ha scritto per oltre 20 anni per Il Messaggero. E' stata inoltre collaboratrice di Ansa, Il Tempo, Corriere di Civitavecchia, L'Espresso, D La Repubblica delle Donne, Liberazione, Avvenimenti. Ha diretto La Voce del Lago. Direttrice di Gente di Bracciano e dell'Ortica del Venerdì Settimanale, autrice di Laureato in Onestà (coautore Francesco Leonardis) e de La Notte delle Cinque Lune, Il processo al Conte Everso dell'Anguillara (coautore Biagio Minnucci), presidente dell'Associazione Culturale Sabate, del Comitato per la Difesa del Bacino Lacuale Bracciano-Martignano, vicepresidente del Comitato Pendolari Fl3 Lago di Bracciano.