Nelle aree urbane l’inquinamento indoor ha lo stesso impatto sulla salute al pari dell’inquinamento esterno con possibili ripercussioni in termini di malattie polmonari, cardiache e tumorali. È questo uno dei principali risultati evidenziati in uno studio condotto da ENEA e dall’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del Cnr (CNR-ISAC), in collaborazione con le università Sapienza di Roma e Milano–Bicocca, nell’ambito del progetto VIEPI[1] finanziato da Inail e pubblicato sulla rivista Environmental Pollution.
Dalla ricerca emerge che se il particolato fine (PM2.5) e ultrafine (PM0.1), generato dal traffico veicolare urbano si infiltra in un ambiente interno, può attivare la risposta del tessuto bronchiale umano attraverso specifici geni legati all’infiammazione e a un particolare meccanismo biochimico[2] che permette al nostro organismo, come azione protettiva, di riconoscere, trasformare ed eliminare le sostanze estranee.
Tramite un innovativo sistema biotecnologico portatile messo a punto per la prima volta al mondo dai ricercatori coinvolti, lo studio ha esaminato, in particolare, la risposta tossicologica delle cellule del tessuto polmonare umano esposte alle nanoparticelle dell’aerosol atmosferico (PM2.5, PM0.1) all’interno di un’aula di Sapienza Università di Roma. La campagna ha previsto misurazioni nell’arco delle 24 ore, incluse le ore di lezione.
“La ricerca ha rivelato che le caratteristiche chimico-fisiche dell’aerosol atmosferico dell’ambiente esterno, influenzato soprattutto dal traffico veicolare urbano e delle variabili meteorologiche esterne (bassa pressione, piogge e vento), sono significativamente alterate infiltrandosi in ambiente indoor, aumentando così il potenziale tossicologico del PM2.5 e PM0.1. A ciò bisogna aggiungere la presenza degli studenti in aula, che contribuiscono alla variazione di biomassa all’interno dell’aula, e dei sistemi di trattamento dell’aria interna”, spiegano Massimo Santoro (ENEA) e Francesca Costabile (CNR-ISAC), primi autori del lavoro, al quale hanno contribuito, tra gli altri, anche Maria Giuseppa Grollino e Barbara Benassi della divisione ENEA di Biotecnologie, Maurizio Gualtieri (Milano-Bicocca), Matteo Rinaldi (CNR-ISAC), Paolo Monti (Sapienza Università di Roma), Armando Pelliccioni e Monica Gherardi (Inail).
“Questi risultati rappresentano una base importante per fornire un solido supporto scientifico alle politiche di adeguamento delle normative sulla qualità dell’aria in ambiente indoor – che comprende anche altri contesti come uffici, abitazioni e luoghi di sport e svago – evidenziando il ruolo critico delle particelle fini e ultrafini come vettori di molecole tossiche per la salute umana”, sottolinea Massimo Santoro della divisione ENEA di Biotecnologie.
“La nostra ricerca suggerisce, inoltre, come le condizioni meteorologiche, climatiche e la qualità dell’aria esterne abbiano un significativo impatto sulle proprietà del PM2.5 e del PM0.1 in ambiente ‘indoor’”, prosegue Francesca Costabile di CNR-ISAC.
In media la popolazione dei centri urbani trascorre fino al 97% del tempo in ambienti chiusi[3]. Le principali fonti di inquinamento dell’aria indoor nelle nostre città includono l’infiltrazione di aria dall’esterno (traffico veicolare e riscaldamento) e le sorgenti interne (fumo di tabacco, prodotti per la pulizia, cottura di cibi). “Il quesito scientifico che ci ha guidati in questo esperimento è stato proprio quello di comprendere se fossero le sorgenti esterne o interne ad influire maggiormente sulla tossicità negli ambienti indoor. È emerso che il PM0.1 generato dal traffico veicolare urbano, infiltrandosi nelle aule, in particolari condizioni atmosferiche (quali bassa pressione, pioggia, vento), subisce una modifica importante delle sue proprietà fisico-chimiche, diventando la sorgente tossicologicamente più rilevante negli ambienti indoor delle nostre città. Questo accade soprattutto a concentrazioni molto basse (inferiori a 5 microgrammi m3) di PM2.5. Questi risultati forniscono evidenze scientifiche importanti per i futuri standard di qualità dell’aria indoor, ma anche per la revisione degli standard di qualità dell’aria outdoor indicando possibili effetti sulla salute umana in associazione ad esposizioni a basse concentrazioni di PM2.5, una condizione in cui le nanoparticelle del PM0.1 possono fungere da cavallo di Troia per molecole tossiche all’interno del corpo umano”, conclude Costabile (Cnr).