Martedì 1° febbraio 2005, alle ore 21 presso il cinema Politecnico Fandango di Roma sarà presentato il numero zero del nuovo Cinegiornale della pace, un progetto filmico e multimediale, con cadenza periodica, che assume il tema della pace come tema centrale, e aperto alla collaborazione di tutti coloro che, professionisti e non, vogliano esprimere la loro idea attraverso un audiovisivo di qualunque forma, durata, genere.
Si tratta di un’iniziativa che ha radici nel progetto zavattiniano degli anni Sessanta. Nel numero zero – distribuito in DVD – è quindi riproposto il Cinegiornale della pace del 1963 promosso dallo stesso Zavattini e presentato da un intervento attuale di Moni Ovadia.
Inoltre, tra gli extra, sono consultabili materiali (testi, sonori, audiovisivi) di particolare interesse sull’origine e le finalità del progetto, e il film di Glauco Pellegrini La marcia per la pace, realizzato in occasione della prima marcia per la pace Perugia-Assisi del 1961.
Al progetto – ideato e promosso dalla Fondazione Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico e da numerosi suoi collaboratori – hanno già aderito: Arci, Fandango, PeaceReporter, Provincia di Roma; oltre a numerose singole adesioni di filmaker, registi, produttori.
Oltre al gruppo di lavoro al completo – portavoce sarà Luca Ricciardi – è prevista la presenza , tra gli altri, di Domenico Calopresti (presidente Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico), Ansano Giannarelli – che ha già collaborato con Cesare Zavattini al Cinegiornale della pace del 1963 – Ermanno Olmi, Moni Ovadia, Vauro – che del Cinegiornale ha ideato il logo – Fabrizio Grosoli (Fandango), Maso Notarianni (PeaceReporter),
Il progetto
Il nuovo Cinegiornale della Pace è un progetto filmico e multimediale, ideato dall’Archivio Audiovisivo del movimento operaio e democratico e da numerosi collaboratori e filmmaker. Si ispira all’esperienza del Cinegiornale della pace promossa da Cesare Zavattini nel 1962 e realizzata nel 1963 in un unico numero di straordinario interesse. Vuole assumere il tema della pace come il “tema dei temi”, farne oggetto di un’analisi quotidiana, tesa a comprenderne le forme, le potenzialità, i suoi molteplici aspetti: “…bisogna prima di tutto capire e far capire cosa significa pace, oggi. E non aver paura di andare fino in fondo”.
Il nuovo Cinegiornale della Pace è “di tanti per tanti”. Ed è anche libero nelle forme, nei contenuti e nel linguaggio. E’ modulare, quindi agile e adattabile a diversi tipi di distribuzione e fruizione.
Essenzialmente è composto da:
- un film di 50 minuti, a sua volta fatto di tanti film brevi realizzati liberamente da autori diversi.
- Un film cortometraggio, per le sale cinematografiche.
- Un dvd, che oltre a raccogliere il film di 50 minuti e il cortometraggio, contiene materiali audiovisivi in versione integrale, fotografie, documenti di testo, brani
- musicali e quant’altro può essere utile all’approfondimento, anche in ambito didattico e di ricerca.
- Un sito web, che promuove il progetto, raccoglie adesioni, mette a disposizione materiali e documentazione.
Hanno finora collaborato alla realizzazione del progetto: Max Franceschini, Ansano Giannarelli, Vincenzo Mancuso, Fabrizio Moggia, Moni Ovadia, Aurora Palandrani, Paolo Pisanelli, Luca Ricciardi, Silvia Savorelli, Paola Scarnati, Vauro
Hanno già aderito: ARCI, Emergency, Fandango, Legambiente, PeaceReporter, Provincia di Roma – Assessorato alle politiche culturali della comunicazione e dei sistemi informativi.
Il numero zero
Il numero zero del nuovo Cinegiornale della pace vuole essere un’occasione per conoscere e farsi conoscere. Per sollecitare adesioni individuali e collettive e promuovere forme di sostegno e diffusione. Ma vuole anche fornire uno strumento concreto di riflessione che è allo stesso tempo un documento storico di eccezionale attualità.
Il numero zero, in dvd, contiene:
- L’appello di Moni Ovadia a sostenere il nuovo Cinegiornale della Pace
- La versione restaurata del Cinegiornale della pace del 1963 promosso da Cesare Zavattini, con la partecipazione, fra gli altri, di Mario Soldati, Carlo Levi, Jean Paul Sartre, Renato Guttuso, Lionel Rogosin.
- La marcia per la pace di Glauco Pellegrini (1962)
- Il testo dell’ appello per un film sulla pace di Cesare Zavattini del 1962
- “Zavattini sui Cinegiornali liberi” (1968)
- Il sonoro dell’intervento “Zavattini per un nuovo pubblico” da Cinegiornale libero di Roma n°1 (1968)
Il numero zero uscirà, in occasione della Giornata della Memoria, il 27 gennaio 2005. Richiederlo sarà un modo concreto per sostenere la realizzazione del primo numero del nuovo Cinegiornale della Pace, uno strumento di comunicazione libero e innovativo al servizio della pace. Sarà in distribuzione al costo di 12,00 Euro, ma sono auspicate sottoscrizione più cospicue.
CINEGIORNALE DELLA PACE
( Italia, 1963, b/n, 16mm, 67’)
ideazione Cesare Zavattini
collaborazione Mino Argentieri
regia Luigi Di Gianni, Giuseppe Ferrara
Ansano Giannarelli, Luciano Malaspina
Massimo Mida, Luciano Viazzi
fotografia Angelo Bevilacqua, Mario Carbone,
Franco di Stefano, Ugo Piccone,
Giuseppe Pinori, Mario Vulpiani
montaggio Elsa Armanni
musica Edoardo Micucci
organizzazione Marina Piperno
Il Cinegiornale della Pace è il prototipo di quelle iniziative di attività cinematografica indipendente e collettiva su temi di interesse sociale e politico che Cesare Zavattini ha poi ulteriormente promosso attraverso i “Cinegiornali liberi”.
Qui il tema generale è la pace: testimonianze, interviste e inchieste affrontano la prospettiva del pericolo rappresentato da un eventuale conflitto atomico e sottolineano la necessità che gli uomini si uniscano per scongiurare all’umanità una immane catastrofe.
Il Cinegiornale della pace si apre con un’introduzione di Mario Soldati: in una testimonianza iniziale, lo scrittore mette in evidenza la centralità della pace per l’umanità.
LA MARCIA PER LA PACE
(Italia, 1962, b/n, 12′)
regia Glauco Pellegrini
testo Gianni Rodari
fotografia I.Bartoli, P. Malizia, F. Villa
aiuto operatore Ermanno Bergamini
musica Fausto Ferri
La cronaca della marcia della pace che si è svolta il 24 settembre 1961 da Perugia ad Assisi con una grande partecipazione popolare. Oltre 20.000 persone hanno seguito la manifestazione: personalitàdella vita politica e culturale, rappresentanti di tutte le regioni d’Italia, giovani, donne, lavoratori. La marcia, che si è snodata sulle colline umbre, si è conclusa al tramonto con un invito a tutti gli uomini che vogliono la pace ad unirsi per chiedere la cessazione degli esperimenti nucleari di ogni genere, il disarmo generale, la collaborazione tra i popoli. Al comizio sono intervenuti Aldo Capitini e Renato Guttuso.
Appello per un film sulla pace
“Lanciamo un appello ai cineasti di tutto il mondo, a coloro che lo sono di professione e a coloro che, da cineamatori, posseggono una macchina da presa, anche a 16 millimetri. Aspettiamo da loro le ultimissime notizie dell’animo degli uomini e soprattutto dei giovani a proposito della pace. Intendiamo, con il materiale che via via riceveremo, creare un “film sulla pace”, che sarà mostrato alla gente nelle piazze se non si riuscirà a farlo entrare nei circuiti normali.
Non vi domandiamo dei film, ma soltanto dei brani che oscillano tra i 50 e i 300 metri. Sarà compito della redazione del “Cinegiornale della pace” comporre di volta in volta i singoli numeri montando il materiale nel modo più efficace.
Nessuno oserebbe dichiarare che non ama la pace, ma spesso è venuto meno il crescere di questo impegno da parte degli artisti proprio quando più si sentiva il bisogno di affrontare il tema dei temi in modo tenace, sistematico, o addirittura quando tale crescita sarebbe stata di per se stessa il fatto culturale più nuovo del nostro tempo.
Lo stesso cinema che ora è il più votato alle grandi tesi, ai grandi disegni, a portare avanti agli occhi di tutti i problemi di vita o di morte, le prove, le testimonianze di una reale volontà di progresso e di libertà, non ci ha posto che scarse e discontinue alternative.
Noi vogliamo rovesciare questa situazione. Infatti questo non vuole essere uno dei soliti atti d’amore per la pace. Bisogna prima di tutto capire e far capire che cosa significa la pace, oggi. E non aver paura di andare fino in fondo.
Per questo a coloro che parteciperanno a “un film sulla pace” domandiamo di essere liberi e crudeli, se occorre, ma prima di tutto liberi. Sul piano dei contenuti e sul piano delle forme.
Se volessimo esemplificare in termini letterario-giornalistici, diremmo che a “un film sulla pace” si può partecipare sia con una poesia che con un racconto, con un saggio, con una confessione o una testimonianza, con un grido o con una cronaca, con una favola come con un pezzo di vita reale.
Non si tratta, come vedete, di un concorso tra “artisti”. Noi crediamo che l’arte segua sempre come un’ombra i propositi che sono storicamente validi.
Ma è agli artisti e ai cineamatori, in quanto uomini e cittadini, che ci rivolgiamo: proviamo per un anno tutti insieme a puntare gli obiettivi sul mondo dall’angoscioso e culminante angolo visuale della pace e della guerra.
Si dice che i giovani hanno oggi maggior propensione per quei problemi che ruotano intorno a certe turbe della coscienza, angosce antiche e rimodernate, alle alienazioni, variamente intese. Portino pure avanti i giovani questi loro problemi ma li prospettino nell’ambito del problema più grande, collettivo; esplorino i rapporti che esistono tra le supposte o reali solitudini e il lungo cammino da percorrere verso la “non-solitudine” che è uno dei più certi sinonimi della pace. Noi contiamo di affrontare il primo numero del “Cinegiornale della pace” entro il 1962 e di farlo circolare in ogni paese.
Inviate i vostri contributi filmati, le vostre proposte, i vostri consigli, le vostre adesioni alla redazione del “Cinegiornale della pace” presso la rivista Rinascita in Roma, via dei Polacchi, 28.
(Cesare Zavattini, Rinascita, 9 giugno 1962)
Moni Ovadia sul Nuovo Cinegiornale della pace
Noi siamo in guerra, anche se non ne abbiamo la percezione, o non ne abbiamo la percezione diretta. Ci sono quaranta guerre nel mondo, militari dell’Europa partecipano in missioni cosiddette di ‘peace keeping’ che in realtà sono situazioni di guerra.
È spaventoso pensare che, alla svolta di questo millennio, noi ci troviamo ancora in una situazione del genere, considerando ciò che è successo nel corso di tutto il Novecento. Le guerre hanno sempre avuto e hanno sempre di più, oggi quasi esclusivamente, il risultato di devastare vite civili, di colpire al 95% innocenti, di colpire, ancora una volta, gli uomini più deboli, e di creare frustrazione, disperazione, di alimentare altra voglia di sangue; e soprattutto si è riaffacciata una logica devastante, una logica coloniale: che la guerra sia un bene per portare civiltà.
La parola guerra è antitesi della parola civiltà. L’idea stessa di guerra è qualcosa di sconcio. Con l’idea coloniale di una guerra portatrice di civiltà è entrata un’altra idea: che in fondo le guerre siano inevitabili, e che bisogna dargli una buona forma: prima si chiamano guerre umanitarie, poi guerre preventive.
Mentre invece oggi è urgente, per il destino di tutti noi delle generazioni a venire, che la guerra diventi tabù, diventi un’idea inaccettabile, e non mai apparentabile all’idea di una società buona, di una società giusta. Così come l’incesto è diventato tabù, perché si è capito che all’evoluzione della specie umana nuoce, non produce futuro, è una forma implosiva, al di là della questione moralistica. Lo stesso dovrebbe valere per la guerra: la guerra porta solo male e disperazione, e la guerra andrebbe bandita.
Un colonnello dell’esercito israeliano, colonnello della Golani, corpo speciale d’Israele, che ho avuto modo di conoscere, e che oggi è un fervente uomo di pace, mi ha detto: “Più sono stato nella guerra più ho capito che abbiamo un bisogno vitale della pace e che la guerra deve finire per sempre”. Gli facevo notare che noi abbiamo calendari di guerra, ma non abbiamo calendari di pace; ci sono scuole di guerra, ma ci sono pochissime scuole di pace. La pace è una conquista alla quale noi dobbiamo dedicare le nostre forze, tutti insieme, perché come dice una suora libanese, grandissima artista e grande donna di pace Soeur Marie Keirouz, “La pace si costruisce con le mani”: la pace si costruisce con iniziative concrete, in ogni campo: nel campo delle relazioni , nel campo dell’educazione, nel campo dell’informazione.
Per costruire la pace con le mani, per dare un contributo concreto, tutti coloro che vedono queste immagini sono invitati a collaborare a questo “Cinegiornale della pace”, con informazioni, con idee, con proposte, con filmati, in ogni forma. Perché lo scopo di questo giornale è informare per costruire pace; non è un’informazione autoreferenziale che cerca questo mezzo di comunicazione, ma vuole offrirsi come strumento per contribuire alla creazione di un mondo di pace, per contribuire alla creazione di un mondo che bandisca la guerra come tabù inaccettabile, come tabù antagonistico all’idea stessa di essere umano, all’idea stessa di vita su questo pianeta.
Il lavoro da fare è moltissimo, il lavoro da fare è impegnativo: spesso si dipingono gli uomini di pace chiamandoli con disprezzo pacifisti come se fossero delle anime belle. Non è vero, è l’impegno più duro, quello per costruire la pace, è la soluzione più difficile, perché la pace va rischiata, la pace va costruita giocando un ruolo in prima persona, mettendosi in questione; la pace si costruisce scavando dentro di sé lo spazio per l’altro, accogliendo l’altro da sé. E questo è un impegno importante, un impegno severo. E non c’è una pace possibile, se alla costruzione di questa pace non partecipiamo tutti.
Il tempo della delega è finito. Se vogliamo la pace, se la vogliamo per noi, per i nostri cari, per i nostri figli, per la nostra gente, se la vogliamo per il mondo, siamo chiamati ad impegnarci in prima persona.
testo della videotestimonianza raccolta da Max Franceschini e Vincenzo Mancuso
Milano, dicembre 2004
Zavattini per un nuovo pubblico
(…) Il concetto di pubblico viene totalmente… totalmente mutato. Tu fai… è vero, in un… un gruppo che saranno solamente venti, trenta di persone, metti a Modena, ma… tutta la città, se siamo capaci di raggiungerla, diventa complice in quanto poi lo vuole vedere e anche con dei riti che sono completamente nuovi, e che sono antitetici proprio alle leggi del vecchio cinema. La funzione è duplice, cioè, il pubblico come autore, coautore o come complice, mai come spettatore, cioè, dicevamo prima, che proprio il cinema delega, che noi rifiutiamo totalmente. In questo senso, è vero, ecco che l’ambizione, la più diretta è quella di far nascere duecento, trecento, mille, è vero, centri in Italia che riarticoleranno qui ciascuno con il genio… il genio del luogo, diciamo così, ma con una unica finalità che è una finalità di conoscenza diretta, di contestazione, di critica, di bisogno di verità, è vero. E, quindi, sono dei centri prima politici, diciamolo chiaramente, che cinematografici; il cinema coincide con questa operazione di cui sentiamo tutti il bisogno perché è ancora il mezzo che offre la mediazione più corta rispetto a tutti gli altri mezzi. In questo senso, dare la macchina da presa in mano a certe persone significa far percorrere a loro un iter di conoscenza che diventa azione (…). (Cesare Zavattini)
da CINEGIORNALE LIBERO DI ROMA N° 1
(Italia, 1968, 16mm, b/n, 34′)
Del cinema e della realtà
[Zavattini] A ogni modo questo… questi cinegiornali liberi cominciano intorno a una macchina da presa, otto millimetri, come un simbolo, e intorno ad alcune parole d’ordine, chiamiamole così, che sono… adesso non le posso spiegare perché c’ho mezzo minuto a mia disposizione, e cioè, è vero… un cinema di tanti per tanti, non un cinema di pochi di casta per tanti. Un cinema continuo, non più un cinema che ha le intermittenze o il tipo di ritmo, di intervento determinato dagli interessi dell’industria e dagli interessi anche, è vero, del potere. Un cinema di guerriglia perché è un vero e proprio cinema che ha dei punti di contatto perfino con la cospirazione, diciamo così, nel senso di… è vero, protesta, contestazione critica a tutte le forme oppressive e… è vero, chiamiamolo anche un cinema a costo zero, e questo lo si capisce subito; chiamiamolo anche un cinema… un cinema… un cinema, adesso non mi ricordo più l’ultimo… è vero… Come dice?…
[Paola Scarnati] Di tanti per tanti?
[Zavattini] No, questo l’ho già detto prima, l’ho già detto… e…
[Zavattini] … perché adesso… avere anche questa interruzione non me ne frega niente, va benissimo, basta vedere… un cinema subito, anche per tanti
[Paola Scarnati] Di guerriglia l’hai detto.
[Zavattini] Di guerriglia l’ho detto.
[Voce maschile] Continua l’hai detto
[Zavattini] Continua l’ho detto. Un cinema subito…
[Voce maschile] Di costo zero l’hai detto?
[Zavattini] Di costo zero…
[Voce maschile] Questo non l’hai detto.
[Zavattini] Un cinema… un cinema… è vero, subito, eh?
[Paola Scarnati] Tu avevi detto però…
[Zavattini] Tutti insieme, un cinema subito, un cinema insieme…
[Zavattini] Un cinema subito, un cinema insieme, un cinema deliberatamente politico, cioè, per la responsabilità, soprattutto, più senza le mediazioni della cultura tradizionale.
da Zavattini sui Cinegiornali liberi (1968)