Testo della conferenza tenuta dal generale Antonino Mozzicato presso il liceo “I. VIAN” di Bracciano il 6 giugno 2018 in occasione delle manifestazioni programmate dal Comando Artiglieria e dal Comune di Bracciano riguardanti la ricorrenza del centenario della seconda “Battaglia del Piave”, denominata dal D’Annunzio “Battaglia del Solstizio”.
Il 15 giugno di ogni anno l’Arma di Artiglieria dell’esercito italiano ricorda con varie cerimonie tutti i suoi caduti in guerra ed in pace. Il motivo va ricercato nella 2^ Battaglia del Piave, denominata da Gabriele D’Annunzio la “Battaglia del Solstizio”, combattuta nell’Italia nord-orientale dall’esercito italiano contro quello austriaco, dal 15 al 23 giugno del 1918.
Questa battaglia si inserisce nel piano generale delle azioni programmate dalla “Triplice intesa” – Italia, Francia ed Inghilterra” contro la “Triplice alleanza” – Austria, Germania ed Impero Ottomano, nel settore dell’Europa centrale, nell’ambito di quella che fu la Prima Guerra Mondiale.
All’inizio del 1918 la situazione in Italia era quella che si era venuta a determinare sul fronte italiano alla fine del 1917, cioè alla fine della famosa Battaglia di Caporetto, che è iniziata il 24 ottobre del 1917, da parte dell’esercito austriaco, aiutato massicciamente da consistenti reparti tedeschi ben addestrati. Questa battaglia ebbe, nei primi giorni, per l’Italia, risultati quanto mai catastrofici. Ma terminò con la nostra vittoria verso la fine del successivo mese di dicembre bloccando, anche con l’aiuto di reparti inglesi e francesi, definitivamente gli austriaci sulla sponda orientale del Piave, in quella che venne comunemente indicata come la prima Battaglia del Piave o “Battaglia d’Arresto”. Particolare importante in questo periodo ebbe la sostituzione del Capo di Stato Maggiore dell’Esercito il 9 novembre. Il generale Luigi Cadorna, uomo piuttosto duro ed esigente, venne sostituito dal generale Armando Diaz, il quale aveva un carattere determinato, ma aperto e sensibile.
Sono del parere che nulla può descrivere quello che fecero gli Italiani in quella circostanza meglio di alcuni giudizi che alleati e persino nemici espressero. Eccone alcuni. Sui giornali di tutta Europa il nostro esercito, descritto come “straccione”, “disorganizzato”, “codardo”, “disfatto”, “annientato”, sbalordì tutti, fermando il nemico sul Piave.
Tutto sommato, quindi, possiamo dire che alla fine, da questa battaglia l’Austria, per quanto possa sembrare strano, ne uscì con un esercito ridimensionato, provato e demoralizzato, e con una popolazione, quanto mai eterogenea, già in fermento, divenne ancora più conflittuale per i grandi sacrifici che stava sopportando e di cui non ne intravedeva la fine. L’unico aspetto positivo per i nostri avversari fu quello di aver conquistato una vasta zona di territorio.
L’Italia subisce numerosissime perdite, più degli austriaci, lascia al nemico il controllo di una vasta zona del Friuli e del Veneto e deve, inoltre, affrontare il difficile problema dei profughi, che sono stati valutati, in quella circostanza, in circa 400.000. Ma il popolo italiano può tirare un gran sospiro di sollievo in quanto il 1917 si chiude con la consapevolezza di aver salvato l’Italia dalla sconfitta finale.
Agli inizi del 1918 abbiamo, quindi, in sostanza, due nazioni e due popoli con diverse situazioni interne: in Austria comincia a nascere nella popolazione una certa sfiducia nel risultato positivo della guerra, mentre in Italia comincia a crescere la fiducia in una possibile vittoria finale.
Ed entriamo nel vivo del tema.
In primo luogo occorre ricostituire l’esercito, le cui perdite furono ingenti, ed a questo scopo, per ogni settore, venne approntato uno specifico programma delle cose da fare. Particolare cura venne posta nella riorganizzazione dei reparti operativi, non solo per quanto riguarda il loro numero, ma anche e soprattutto per quanto attiene la loro capacità di combattere, come vedremo in seguito. Fu incrementata anche l’artiglieria contraerea, unitamente all’aviazione. Entrarono, infatti, in linea ben 200 nuovi aeroplani di vario tipo. Quanto programmato trovò pratica realizzazione entro il mese di maggio.
L’Italia, in appena cinque mesi, era riuscita a mettere le proprie forze armate. nelle migliori condizioni in tutti i settori per poter fronteggiare con successo gli innegabili, futuri attacchi del nemico, evidenziando una notevole, inaspettata compattezza, mai mostrata negli anni precedenti. La primavera vede l’esercito austriaco intento a prepararsi per un decisivo e risolutivo attacco all’Italia da sferrarsi il più presto possibile e comunque non oltre il mese di maggio. Vengono, pertanto, definiti i relativi piani operativi.Vediamo co me gli austriaci si prepararono per sferrare quello che loro ritennero l’attacco decisivo per vincere la guerra.
La linea di contatto, all’inizio del 1918 era la seguente.
Passo del tonale, sud di Riva del Garda, Pasubio, Asiago, nord del Monte Grappa, Valdobbiadene, Piave, fino a San Donà di Piave. Il Gruppo di Armate che presidia il settore montano, che va dal Passo del Tonale fino al Piave, è comandato dal generale Conrad, il quale è convinto che bisogna sferrare l’attacco principale nel suo settore per dilagare poi in pianura e prendere alle spalle la parte del nostro esercito schierato sul Piave.
Il suo collega Boroevic, che comandava l’Armata della pianura, chiamata Armata dell’Isonzo, era convinto, invece, che bisognava attaccare in pianura per prendere alle spalle i nostri CC.AA. schierati nel settore montano. Aggiungo che fra i due grandi generali non correva buon sangue.
Purtroppo per loro il comando supremo pervenne ad un compromesso, prevedendo due azioni: una dall’altopiano dei Sette Comuni, settore montano, ed una in pianura, per neutralizzare il nostro esercito e proseguire poi verso Milano. Queste due azioni dovevano essere precedute, con inizio il 12 giugno, da altri interventi dimostrativi nella zona del Passo del Tonale per scendere su Brescia e richiamare verso quella parte l’attenzione del nostro Comando Supremo. A seguito di questo piano l’esercito austriaco divide le forze in due grandi gruppi, sostanzialmente uguali, schierando 27 divisioni nel settore montano e 23 in quello di pianura. Divide anche le forze in riserva fra i due settori. Lo schieramento dell’artiglieria è più intenso lungo le due direttrici principali. Naturalmente viene sviluppato anche un adeguato addestramento. Vi è una preparazione morale delle truppe. Il soldato italiano viene descritto come un elemento male armato e demoralizzato. Mentre il soldato austriaco è forte e ben conscio della sua superiorità, per cui la vittoria non può mancare. C’è in questo modo di ragionare una certa prosopopea “imperiale”.
L’attacco, dopo varie indecisioni e rinvii, fu stabilito per le ore 7.30 del 15 giugno, mentre l’artiglieria doveva iniziare la propria azione di preparazione per l’attacco alle tre del mattino, con interventi di varia natura, anche con proietti caricati con aggressivi chimici, indirizzati sui nostri obbiettivi più significativi.
Per quanto riguarda il nostro schieramento (vds lastrina 2), in sintesi, si tratta di uno schieramento difensivo con una particolarità: la difesa è scaglionata in profondità, specialmente nel settore di pianura e non per linee di trincee, ma per capisaldi, che consentono, a differenza delle trincee, una maggiore possibilità di manovra, di iniziativa e di appoggio reciproco.
Nell’artiglieria furono uniformati tutti gli aspetti tecnici e tattici dell’arma; fu introdotta la difesa vicina degli schieramenti e venne posta alla base del suo operare un’accurata pianificazione del fuoco in modo da intervenire in ogni circostanza con tempestività, precisione ed efficacia. Venne data grande importanza alla contro preparazione, anche anticipata, ed alla contro batteria, per anticipare gli interventi dell’artiglieria nemica e neutralizzarne in parte le proprie capacità operative. Le artiglierie vengono schierate con maggiore intensità in corrispondenza degli altipiani e del basso Piave, cioè in corrispondenza dei tratti che si ritengono più minacciati. Inoltre, agli alti Comandanti fu concessa una certa libertà d’azione nei loro settori, mentre i comandanti dei livelli più bassi furono autorizzati a richiedere, anche d’iniziativa, il fuoco dell’artiglieria. Per consentire i necessari trasporti, inoltre, e non solo quelli riguardanti l’artiglieria, fu costituito un parco di 1.800 automezzi, dislocato tra Padova e Vicenza, pronto ad essere impiegato per trasferire nelle zone di combattimento quanto ritenuto necessario dall’andamento della battaglia. Furono organizzati e pianificati anche dei contrattacchi in corrispondenza dei punti più sensibili e pericolosi dell’intero schieramento difensivo.
Di conseguenza le nostre forze furono così schierate:
24 delle 37 divisioni al fronte erano spiegate sul settore nord-occidentale, da dove si temeva l’attacco principale. Il Piave invece era presidiato da nove divisioni In questo sistema difensivo sono inserite anche alcune forze alleate.
Le riserve, dislocate a ridosso ed in posizione quasi centrale rispetto dell’intero schieramento, sono di due tipi: riserve d’Armata, 9 divisioni, a disposizione dei Comandanti delle Armate, e riserve generali, accentrate, costituite dalla 9^ Armata con 10 Divisioni e da tre Divisioni di cavalleria. Questa consistente “forza” in riserva, che può intervenire sia nel settore montano che in quello di pianura, con una certa tempestività, conferisce una certa sicurezza all’intero schieramento che ha le spalle ben coperte. Naturalmente, le unità destinate a presidiare questo nuovo sistema difensivo ricevono un adeguato addestramento. Quanto messo in atto dal generale Diaz è senza dubbio uno schieramento innovativo, prudente ed equilibrato.
Per quanto riguarda il morale dei soldati e della popolazione possiamo dire che il primo segnale di cambiamento si ebbe nel dicembre del 1917, quando i nostri soldati, con il loro comportamento deciso e determinato, arrestarono definitivamente il nemico sul Piave, come accennato in precedenza.
Ma il cambiamento più consistente e più significativo si manifestò a seguito dell’operosità dell’intera Nazione, la quale era riuscita in breve tempo a ricostituire l’esercito, accrescendo nei suoi componenti fiducia e sicurezza in loro stessi. Il nuovo Comandante in capo Armando DIAZ, con il suo carattere aperto, portò in tutto l’Esercito una ventata di ottimismo. Migliorò le condizioni di vita dei sodati, instaurò consapevoli rapporti con i propri dipendenti, cercò di far comprendere a tutti che il Piave era l’ultimo baluardo per la salvezza dell’Italia tutta e che era arrivato il momento di riscattare l’onta di Caporetto. Questa atmosfera, che migliora costantemente con il passare del tempo, comincia a far nascere e crescere nei nostri soldati a tutti i livelli la consapevolezza di avere la capacità, la forza e la possibilità di poter affrontare il nemico con grande probabilità di successo. Mentre il nostro popolo è sempre più determinato ad affrontare i necessari sacrifici pur di riconquistare le terre perdute e pur di mantenere la propria indipendenza e quindi la cosa più cara al mondo, la propria libertà. Inoltre, contemporaneamente, si cerca di annullare la propaganda nemica facendo comprendere ai nostri soldati che i loro colleghi non sono poi quei grandi “guerrieri” decantati dai loro comandanti. Ma gli austriaci non tennero affatto conto di questi fattori, che davano ulteriore forza al nostro esercito, e, a mio parere, fu un grande errore, come quello commesso a suo tempo da Napoleone, Hitler e Mussolini. Infatti, i primi due tornarono dalla Russia sconfitti ed umiliati ed il terzo, dalla Grecia, non fu da meno.
Si può affermare che gli organismi nazionali interessati ai vari livelli operarono tutti insieme e compatti e lungo una direzione unica e, soprattutto, condivisa. Fattori questi, che a mio parere, valgono per qualsiasi attività debba essere svolta. In estrema sintesi c’è nell’esercito e nella popolazione una grande voglia di riscatto ed un profondo desiderio di cacciare il nemico dalle nostre terre.
E parliamo adesso della Battaglia vera e propria.
All’alba del 12 giugno, come previsto dai suoi piani, il nemico iniziò l’azione diversiva con un violentissimo fuoco di artiglieria dallo Stelvio all’Adamello, più intenso lungo la rotabile del Tonale. La reazione italiana fu immediata e le nostre batterie aprirono un fuoco altrettanto violento contro le batterie avversarie, che, dopo alcune ore, tornarono in silenzio. Il 12, il 13 ed il 14 si ebbero diversi attacchi austriaci e nostri reiterati contrattacchi ed alla fine gli austriaci, constatata l’impossibilità di superare il nostro schieramento, e quindi di conseguire gli obbiettivi prefissati (scendere su Brescia e richiamare verso quella parte l’attenzione del nostro Comando Supremo) desistono dal continuare l’offensiva in quel settore e ritornano nelle loro basi iniziali. Intanto il nostro Servizio Informazioni continua instancabile nella sua attività di intelligence ed il 14 giugno, da disertori austriaci, si viene a sapere che il nemico avrebbe iniziato, nel settore montano, il fuoco di preparazione dell’artiglieria per l’attacco alle ore 3.00 del giorno successivo, cioè del 15. Questa notizia viene immediatamente trasmessa naturalmente a tutti gli alti comandanti, i quali, però, visto il continuo variare delle informazioni, non tutti la considerano certa; tuttavia allertano le dipendenti artiglierie ed i reparti in prima linea, che misero in atto opere di protezione e si tennero pronte a reagire con immediatezza.
Ma il comandante della 6^ Armata, schierata nel settore montano, forte dell’autonomia che gli era stata concessa, prese per veritiera questa notizia ed alle 23.30 dello stesso giorno 14, fece iniziare l’azione di fuoco di contropreparazione anticipata, già accuratamente organizzata in ogni particolare, con le masse di artiglierie a ciò predisposte. Violentissimi e poderosi concentramenti delle nostre artiglierie, integrati da densi e prolungati tiri da parte delle bombarde, si riversarono improvvisamente sui principali obbiettivi del nemico, artiglierie, comandi, masse di fanterie in preparazione per l’attacco , osservatori, rincalzi , centri logistici, cogliendo tutti di sorpresa in un momento assai critico, qual è quello del concentramento delle truppe e della preparazione dei mezzi per l’attacco, che a volte si trovavano anche allo scoperto. Questa azione produsse al nemico, nel settore montano, non solo numerose perdite, ma disorientò molti comandanti, che non comprendevano cosa stesse veramente succedendo in quel frangente. Il maresciallo Caviglia, infatti, scrive in una relazione: le Divisioni austro-ungariche di seconda linea ebbero l’impressione che la sesta Armata italiana preparasse un attacco invece di attenderlo.
Alle tre, inoltre, confermandosi esatte le informazioni avute, il nemico iniziò il tiro di preparazione su tutto il fronte, cui fece riscontro immediatamente il nostro violento tiro di contropreparazione, già ampiamente e perfettamente predisposto e che anche in questa circostanza sorprese il nemico, il quale non si aspettava una così puntuale, precisa ed imponente reazione. Il tiro della nostra artiglieria, tecnicamente perfetto, riuscì ad arrecare sensibili perdite a tutte le forze nemiche schierate nella parte avanzata del loro dispositivo d’attacco. Pertanto, lo slancio delle fanterie austriache, quando alle 7.30 mossero all’attacco, come pianificato, apparse sin dall’inizio indebolito e privo di mordente. Di conseguenza, la battaglia perse il carattere unitario come era stato previsto e si frantumò in una serie di lotte locali, molto dure. Vediamo, adesso, cosa avvenne nei due settori.
Nel settore montano, fallito il travolgimento generale delle linee italiane, grazie ad una strenua resistenza delle fanterie ed all’azione anticipata e poi perfettamente aderente dell’artiglieria, come abbiamo visto, l’avversario registrò a suo attivo soltanto piccoli successi locali, e per giunta pagati a carissimo prezzo.
Solo nel settore del Grappa il nemico, con sforzi immensi e con grandi perdite, ottenne qualche significativo successo che fu prontamente vanificato dalla azione congiunta della nostra artiglieria con quella dei fanti, principalmente alpini. La prima con le sue azioni di fuoco di repressione, di interdizione e di controbatteria prima e di appoggio e sempre d’interdizione e di controbatteria poi ed i secondi con i loro appropriati e risolutivi contrattacchi.
A sera, in gran parte, le posizioni perdute erano state riconquistate.
Nel giorno 15 e nella notte tra il 15 ed il 16, sul fronte montano, quanto mai delicato per noi, la tanto decantata offensiva di Conrad, che avrebbe dovuto essere decisiva per le sorti della battaglia e, quindi, della guerra, è virtualmente esaurita. La superba reazione dell’artiglieria, che domina nettamente quella avversaria, e la violenza con la quale i nostri battaglioni sferrano i contrattacchi per riconquistare le posizioni inizialmente perdute, annullano ogni capacità operativa del nemico.
Nei giorni seguenti, sugli altipiani, l’iniziativa passerà completamente nelle nostre mani ed il nemico viene ricacciato nelle sue posizioni iniziali, anche grazie agli interventi sempre aderenti ed efficaci della nostra artiglieria, che non fa mai mancare il suo apporto in qualsiasi momento della battaglia, soprattutto quando si tratta di risolvere situazioni particolarmente critiche.
Ed a proposito di questi aspri combattimenti il maresciallo Giardino ha delle parole di grande elogio per gli artiglieri, che spesso si affiancano ai fanti nella lotta ravvicinata. In altre circostanze difendono fino all’estremo i pezzi, continuando a sparare anche sotto il tiro delle armi automatiche del nemico incalzante. Addirittura si uniscono ai fanti nei contrattacchi riconquistando i pezzi perduti in mattinata.
Anche il generale Caviglia non è da meno. “Sul Grappa, dice, il nemico, dopo un inizio fortunato, fu arrestato dalla nostra artiglieria, cosicché potemmo riprendere completamente le nostre linee nel secondo giorno”. Questo successo permise all’alto comando italiano di indirizzare parte della riserva generale nel settore di pianura.
Vediamo cosa accadde, invece, in pianura.
Sul fronte del Montello il nemico, favorito dalla nebbia, da tiri nebbiogeni e da interventi con granate caricate con gas lacrimogeni, riuscì a far passare al di là del Piave forti contingenti di truppe, circa 25 battaglioni. Ma le nostre forze schierate a difesa di quel settore, che intanto avevano ricevuto dei rinforzi, sostenuti da forze aeree e da potenti interventi di artiglieria, contrattaccarono tempestivamente e con grande impeto arrestandone l’avanzata.
Anche sul basso Piave l’attacco è violentissimo ed il nemico riesce a costituire due teste di ponte, che cerca insistentemente di riunire. Ma non ci riesce del tutto, grazie sempre, come più volte evidenziato, all’azione della nostra artiglieria, che, tra l’altro, non cessava di battere i ponti sul Piave, come un maglio sull’incudine, ed al contrattacco violento della nostra fanteria. Altre truppe che qua e là riuscirono ad attraversare il Piave furono accerchiate e catturate. Naturalmente, appena l’attacco si fu delineato, il nostro comando fece affluire nuove forze, comprese diverse batterie di Artiglieria. Mentre il Boroevic, valutando l’impossibilità, con le sole forze a sua disposizione, di proseguire l’azione in profondità, chiese rinforzi che non ebbe. Non era stata prevista una riserva centrale da poter mettere a disposizione dell’uno o dell’altro settore a seconda delle necessità, come, invece, era stato programmato dal nostro Comandante in capo. In conclusione, alla fine della prima giornata di battaglia, alla fine cioè di quella giornata che avrebbe dovuto vedere, secondo gli austriaci, le fanterie del Gruppo Boroevic dilagare oltre il Piave verso Treviso e Padova e quelle del Conrad precipitare come valanghe dalla zona montana verso Vicenza e Padova la situazione è decisamente sotto controllo nel settore montano e quanto mai favorevole, anche se ancora in evoluzione, in quello di pianura. Nei giorni successivi i combattimenti continuano aspri e violenti, senza tregua, notte e giorno e le perdite, specialmente da parte austriaca, sono ingenti. A piccoli successi austriaci si risponde con violento fuoco dell’Artiglieria e decisi ed appropriati contrattacchi della nostra fanteria. In tal modo si va avanti con alterne vicende fino al 19, quando il Comando Supremo italiano, constatata la situazione tutto sommato favorevole, decide di sferrare una controffensiva nel settore del Montello. Alle 15.30, dopo un prolungato fuoco di preparazione delle nostre artiglierie, finalizzato soprattutto ad impedire al nemico l’alimentazione delle forze avanzate, a distruggere i ponti sul Piave ed a neutralizzare le forze a contatto, le nostre fanterie, muovono all’attacco, appoggiate da un gruppo di artiglierie predisposte a questo scopo.
Questo contrattacco non ebbe un grande successo in quanto a riconquista territoriale, ma fermò definitivamente il nemico e segnò la fine di ogni sua iniziativa, che passò nelle nostre mani. Fece comprendere all’avversario che la partita non poteva essere vinta. Era l’inizio della sua fine.
Nella giornata del 20 continua la pressione del nemico che cerca disperatamente di consolidare le posizioni al di là del Piave, ma senza alcun risultato positivo e subendo grandi perdite. La nostra reazione è come al solito violenta sia con il fuoco dell’Artiglieria e sia con appropriati contrattacchi, agevolati in questo anche dall’ingrossamento del Piave che impedisce al nemico un’adeguata alimentazione delle forze in prima linea, a volte non arrivava nemmeno il “rancio”. Il 21 e 22 la nostra artiglieria continua un implacabile martellamento delle forze nemiche al di qua del Piave ed una sistematica azione finalizzata alla distruzione dei ponti sul Piave. In questo modo il nemico subisce un continuo logoramento esaurendo in tal modo la sua capacità offensiva e, per prevenire la sua distruzione completa, il Boroevic decide di ripiegare ad est del Piave.
Gli ultimi attacchi austriaci servono solo a mascherare questa ritirata. Il 23 la Battaglia può considerarsi conclusa con la nostra vittoria. Ciò costituisce preludio alla nostra controffensiva di ottobre, che porterà l’Italia alla vittoria finale con la Battaglia di Vittorio Veneto. Questa Vittoria fu molto importante non solo per l’Italia, ma anche per gli alleati in quanto segna l’inizio del disfacimento della coalizione avversaria.
Molti furono i fattori che la determinarono. La sorpresa iniziale con la nostra contropreparazione, le informazioni acquisite prima e durante la battaglia, la perfetta ed efficace organizzazione della nostra difesa e l’intelligente condotta delle varie operazioni; ma il merito principale va attribuito senza dubbio all’artiglieria.
Se da un lato immediata e risolutiva può dirsi la sua azione sul fronte degli altipiani il 15 giugno, non meno importante fu il peso, quanto mai positivo per noi, che essa portò nello sviluppo delle varie azioni che caratterizzarono l’intera battaglia. Con i suoi tiri sempre precisi, appropriati e devastanti, arrecò al nemico ingenti danni materiali, con conseguenze negative anche sul morale dei soldati a tutti i livelli, i quali, giorno dopo giorno cominciarono a perdere fiducia nelle loro capacità operative e, quindi, nella vittoria finale.
In ogni fase della battaglia primeggia sempre ed è sempre presente il fuoco della nostra artiglieria, che in questa battaglia evidenzia alla perfezione quelle che sono le sue due principali peculiarità; “L’impiego a massa” costituito dagli interventi su uno o più obbiettivi contemporaneamente con numerosi cannoni e la “flessibilità”, avendo spostato spesso la sua forza distruttiva con rapidità ed efficacia da un obbiettivo ad un altro, anche distante dal precedente.
Lo ammette chiaramente persino il Comando austriaco, che in una relazione scrive: l’intervento dell’artiglieria italiana, specialmente con la contropreparazione, ostacolò in notevole misura i preparativi per l’attacco. Nel corso dell’azione, poi, il fuoco fu inflessibile. E lo sanciscono anche i comandanti delle nostre Armate. Ed ecco come viene giudicata l’azione dell’artiglieria in ogni Armata.
3^: Superiore ad ogni elogio fu il contegno delle batterie. Quelle attaccate si difesero eroicamente.
4^: tutto l’organismo delle artiglierie ha funzionato alla perfezione e molto spesso gli artiglieri hanno combattuto fianco a fianco con i fanti contribuendo in tal modo a mantenere la promessa fatta alla Patria di non lasciar passare il nemico dal Grappa.
6^: grande è stato il tributo di sangue dato dagli artiglieri durante tutta la battaglia ed impareggiabile è stata la loro azione finalizzata alla neutralizzazione delle fanterie e delle artiglierie nemiche.
8^: l’Artiglieria ha avuto il plauso dei fanti. Gli importantissimi decisivi risultati conseguiti sul Montello sono stati solo possibili mercé l’instancabile attività degli artiglieri che, per otto giornate continue, sono rimasti attorno ai loro pezzi facendo fuoco ininterrottamente, portando sempre il tiro con prontezza e perizia sui punti dove la sua azione poteva essere più utile.
Atti di grande valore ne sono stati compiuti a non finire e numerose sono le ricompense al valor militare conferite a singoli artiglieri ed alle Bandiere di numerosi Reparti e Reggimenti.
La Bandiera dell’Arma di Artiglieria è stata decorata di medaglia d’Oro al Valor Militare. Questa la motivazione:
“Sempre ed ovunque con abnegazione prodigò il suo valore, la sua perizia, il suo sangue, agevolando alla Fanteria, in meravigliosa gara di eroismi, il travagliato cammino della vittoria per la grandezza della Patria, 1915 –1918”.
Ecco perché la data della festa dell’Arma di Artiglieria, istituita inizialmente il 30 maggio a partire del 1848, a seguito dell’eccellente comportamento dell’Artiglieria sui Campi di Battaglia di Goito e di Peschiera, venne poi spostata, nel 1923, al 15 giugno.
Essa ci ricorda le nostre “Radici” e quello che fecero gli Artiglieri, i quali, per non venir meno al giuramento prestato, sacrificarono in molti la propria vita, impedendo in tal modo ad un nemico orgoglioso, potente e battagliero di oltrepassare il Piave e, di conseguenza, invadere l’Italia.
E noi, ogni 15 giugno, ricordiamo questi nostri connazionali e li onoriamo con grande riconoscenza e questo ricordo costituisce la linfa vitale che alimenta le nostre radici. Linfa che altro non è che la nostra “TRADIZIONE”, libro aperto su cui leggere la strada del futuro. E questa nostra “Tradizione”, basata in generale, tra l’altro, sulla grandezza di Roma, sullo splendore del nostro Rinascimento e sulla determinazione del nostro Risorgimento, si arricchisce adesso di un nuovo importante elemento, si arricchisce della compattezza del nostro popolo, riunito da appena 57 anni. Questa vittoria sul Piave fu un grandissimo avvenimento per l’Italia. Ne arricchì la storia, dando ulteriore prestigio alla Nazione ed al suo popolo e noi la ricordiamo ogni anno.
Quanto è stato appena detto è egregiamente sintetizzato nella seguente affermazione di Gustav Thibon, filosofo francese vissuto nel secolo scorso, il quale dà alla “Tradizione” una grandissima importanza e dice (testualmente):” Non vi accorgete che quando piango sulla rottura di una tradizione, è soprattutto all’avvenire che penso.
Quando vedo morire una radice, ho pietà dei fiori che seccheranno domani per mancanza di linfa”.
Deve esistere, pertanto, a mio parere, una cultura della Tradizione, da tenere costantemente viva e vitale, se non si vuole arrivare a quello che mirabilmente ci fa comprendere il Thibon: la linfa si interrompe, la radice marcisce ed il fiore, cioè la nostra Italia, muore”. Facciamo in modo che ciò non accada mai.
Generale Antonino Mozzicato