Replica all’articolo dottoressa Sodano su collezione Panunzi
Non è molto corretto affermare che la scelta di acquistare la collezione va “posta in capo a due amministrazioni diverse che l’hanno ritenuta entrambe positiva per il bene comune, superando in questo specifico caso ogni schieramento e pregiudizio”, si dimentica di citare la Delibera di Giunta Comunale n. 142 del 02-12-2016, per mezzo della quale l’acquisto della collezione venne rifiutato dall’attuale amministrazione, ma con una giunta composta diversamente e con un Assessore (o Assessora, se si preferisce) alle Politiche Culturali, con delega al Museo Civico, differente dall’attuale. Cosa è cambiato, oltre all’Assessore alle Politiche Culturali del Comune di Bracciano, nelle idee dell’attuale Amministrazione Comunale per spingere ad una scelta opposta a tre anni fa?
Oggi le eredi rinunciano a 80.000,00 €, ma dal 2011 chiedono questo importo e lo chiedevano ancora nove mesi fa, come dichiarato nella D.G.C. n. 228 del 11-10-2018. Ora hanno semplicemente cambiato idea. Dopo aver atteso tutto questo tempo decidono di donarla, anziché venderla, ma chiedono al Comune di sostenere varie spese “assicurative, notarili, di trasporto e di tutte quelle necessarie per l’acquisizione, incluso il ripristino degli spazi della residenza delle eredi che verranno danneggiati dallo smuramento dei pezzi della collezione che devono confluire in museo” e la giunta comunale non sembra nemmeno sapere a quanto ammonti la spesa totale, nonostante abbia deliberato di accettare l’accordo. Qui si parla di reperti archeologici murati, quindi compromessi in una misura che non si conosce, e il Comune dovrebbe finanziare lo smuramento e il ripristino di mura di proprietà privata?
Sì, ho fatica a credere a molte cose, ma non per mia natura, bensì per considerazioni di carattere scientifico, culturale e amministrativo relativamente alla gestione dei beni e dei soldi pubblici: ciò che desta perplessità non sono le proposte delle eredi, qualunque esse siano, ma le risposte dell’Ente Pubblico.
Continuo ad esprimere perplessità riguardo la spesa in proporzione al valore culturale vero, presunto o, comunque, dichiarato, in relazione alla sua provenienza incerta.
La definizione “provenienza incerta” non può essere usata ambiguamente nella lingua italiana, nemmeno a livello concettuale, vuol semplicemente dire, come già sottolineato in passato, che non si conosce il luogo di provenienza dei reperti in questione. Riportare completamente, o parzialmente, la frase contenuta nella nota prot. n. 27282 del 25-07-2016 non cambia le considerazioni. A tal proposito si leggano attentamente le mie precedenti note regolarmente registrate con numero di protocollo al Comune di Bracciano e di seguito pubblicate https://www.lagosabatino.com/2018/il-museo-civico-di-bracciano-merita-di-meglio/.
Leggendo la nota della Soprintendenza Archeologica per l’Etruria Meridionale, scritta nel 1995, o 1996, a firma della dott.ssa Ida Caruso, pubblicata nel blog del consigliere Marco Tellaroli (https://marcotellaroli.com/albo-pretorio/?action=visatto&id=7), a lui consegnata il 29-07-2019, ma richiesta il 24-04-2019, si apprende semplicemente quanto emerso sino ad ora: la provenienza incerta dei reperti che compongono tale collezione. L’archeologa, infatti, in merito a ipotetici luoghi di ritrovamento, usa spesso accezioni vaghe come “presumibilmente riferibili”, “probabilità”, “potrebbe collegarsi”, “ipotizzabile”, “quasi certa” e altro. Tutto ciò suggerisce la mancanza di certezza, quindi, “provenienza incerta”.
Non è sempre facile stabilire l’autenticità di un reperto antico ad occhio, per questo ci si affida a tecnologie avanzate e ad analisi di laboratorio. Non è una fantasia la scoperta di falsi esposti erroneamente come autentici, tra le collezioni dei musei. Per il resto, tutto ciò che abbia un legame di stile con l’antichità è interessante a prescindere, ma la decontestualizzazione senza aver registrato esattamente il luogo di ritrovamento, e senza una descrizione minuziosa e dettagliata, impoverisce culturalmente un qualsiasi reperto, per ovvi motivi.
Ma Ida Caruso non ha scritto che “A sud di Bracciano, nelle località di S. Giuliano, Fontanile dell’Aspro, Cupinoro, Macchia Muraccioli, il fenomeno della depredazione da parte di scavatori clandestini ha reso noto un settore di notevole interesse storico-archeologico”? È un capoverso preso dal catalogo del Museo Etrusco Romano di Trevignano Romano (2002) che mi ha fatto pensare per molto tempo, visto che a Cupinoro c’è una grossa discarica almeno dagli anni Novanta.
Comunque l’Apollo di Vicarello ha provenienza certa, lo suggerisce il nome. Ci sono altri reperti di provenienza lecita e certa che potrebbero arricchire il Museo Civico di Bracciano, come già sottolineato più volte, perché non prendere quelli? Perché non arricchire il Museo con i reperti rinvenuti durante gli scavi archeologici nella villa romana perilacustre in località Vigna Orsini? Oppure i reperti trovati nel 2001 nei fondali del lago in località La Sposetta? All’epoca il Comune stesso contribuì al finanziamento del recupero di un’importante testimonianza preistorica. Solo per citare alcuni esempi. Il Comune affronterebbe di certo spese minori e darebbe alla memoria storica di Bracciano la dignità culturale che merita.
Dottore di Ricerca in Archeologia
Dott.ssa Elena Felluca