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Alfonso Sansone: il cinema italiano raccontato da un produttore illuminato

di Graziarosa Villani

Questo articolo, sebbene fosse stato concordato, non ha avuto l’autorizzazione alla pubblicazione del diretto interessato. Ma l’intervista c’è stata. Dato che i testimoni di un’epoca del cinema italiano – mi riferisco a Carlo Lizzani morto oggi – stanno via via passando a miglior vita, come si usa dire, mi assumo la responsabilità della pubblicazione. Anche Sansone è morto nell’agosto 2015.  L’intervista è del 2012. Buona lettura

Taviani, Lizzani, Volonté, Tognazzi, Ferreri, Morricone, Flaiano, Maselli, Calvino ed un produttore cinematografico illuminato ante litteram come Alfonso Sansone. Una vita, ad 88 anni suonati, tutta dedicata al cinema. Con un peccato originale quello della passione per i film impegnati. La storia di Sansone, ancora lucido e sagace, si intreccia con quella del cinema italiano, tra arte, cultura e costume. Tutto all’insegna di una passione sfrenata per quella che è l’arte cinematografica.

“Ho preso il cinema dalla parte sbagliata” dice Sansone. “Dalla parte della cultura” aggiunge poi, ironico. Una lezione imparata, appena 19enne, a Firenze dove gli studenti di legge più che dedicarsi al diritto si davano al cinema ed il Guf locale, il Gruppo Universitario Fascista, diventava una sorta di cenacolo che si riuniva per la proiezione di film e documentari, discuteva di cinema sotto la velata “protezione” del ministro alla Cultura Giuseppe Bottai, un ministro sui generis, anch’esso affascinato dalla settima arte.

“Molti dei registi italiani – racconta Sansone – provengono da quell’esperienza che fu il Gruppo Universitario Fascista di Firenze. Si era costituito un gruppo molto unito che si confrontava sul cinema. Avevamo in qualche modo il beneplacito del ministro alla Cultura Bottai. C’era all’epoca tutto un fermento attorno ai film e al cinema”.

Sansone corre indietro nel tempo. “A Roma ad esempio – dice Sansone – Mussolini aveva una propria sala di proiezione a Villa Torlonia dove visionava molti dei film che invece per tutta Italia erano proibiti. Al Quirinetta, sala che era dell’amante di Badoglio Elena Gavrilovna Lebedinskaja, molti del nostro gruppo, in barba all’autarchia, potemmo assistere alle proiezioni di film americani. Ricordo – dice Sansone – che era stato fatto prigioniero un sottomarino pieno di film americani e le pellicole rinvenute venivano proiettate per una ristretta cerchia di amici proprio al Quirinetta”.

Poi la guerra. Il ritorno a Palermo dove la sua era una famiglia agiata. Il padre ingegnere. Il nonno noto professore universitario di Storia del Risorgimento. E’ nel capoluogo siciliano che Sansone termina i suoi studi. Ancora sul filo del cinema. “Mi sono laureato con il massimo dei voti in Sociologia con  una tesi sull’“Importanza sociale del cinema”.

La strada infatti era ormai tracciata. Ed è nell’assolata Sicilia che Alfonso, unitamente al fratello Agostino, si mette alla prova come autore e regista documentando con la Sperimental Film la cultura popolare, le tradizioni sicule, i mestieri che andavano via via scomparendo come quelle del pittore dei tipici carrettini siciliani, l’opera dei pupi. “Immagini Popolari Siciliane” conteneva anche un saggio del critico cinematografico Mario Verdone, la cui famiglia resta tutt’oggi vicina a Sansone.

Materiale prezioso che, grazie anche ai finanziamenti della Regione Sicilia, i fratelli Sansone raccolgono in una cinquantina di documentari, splendide pagine per immagini della Sicilia che fu. Ma Sansone è ormai appieno entrato nel vortice del cinema. Palermo gli sta stretta.

E Roma, capitale del cinema, diventa la sua nuova casa. Una Roma da dolce vita, culla del fermento culturale. La Roma di via Margutta, delle osterie, degli studi di Cinecittà.

Nella capitale Sansone partecipa alla produzione de  “L’oro di Roma” girato con Carlo Lizzani. Vi si racconta la storia buia dell’inganno di Kappler agli ebrei romani e il rastrellamento nel ghetto di Roma. “A Roma, grazie a questo film – dice Sansone – c’è il mio nome nella sinagoga”.

“Ci riunivamo – racconta ancora Sansone – quando avevamo pochi soldi in un ristorante a via Margutta. Quando invece eravamo in soldi la sera cenavamo da Otello a via della Croce”. Grandi tavolate, parlando di cinema. Tra i commensali anche Marco Ferreri. “Marco era un veterinario preso dal cinema ormai faceva il regista. Viveva con noi in casa”. Ed è tra un piatto e l’altro che nascevano i film. “Mi convincevano – racconta Sansone – a produrre questa o quella idea cinematografica”.

In quel periodo Sansone diede slancio e fiducia anche ai fratelli Taviani, oggi tra i più grandi registi italiani. “Fino ad allora – racconta Sansone – si occupavano di fotografia. Finanziai il loro primo film”.  E’ il lungometraggio “Un uomo da bruciare” ispirato alla storia del sindacalista siciliano Salvatore Carnevale. Dietro la macchina da presa i fratelli Taviani. Tra gli interpreti un giovane Gian Maria Volontè.

“Volontè era persona determinata ma imprevedibile. Era ai suoi primi lavori – racconta Sansone – e non lo pagavano molto. Per un mio film gli offrii un milione di lire. ‘Tutti interi’ mi chiese incredulo Volonté. ‘Tutti interi, certo’ gli risposi”. Volontè in quel periodo andò anche a girare in Francia. “Ai produttori francesi dissi che era una persona particolare, che gli avrebbe fatto versare lacrime e sangue”. Ma non fu così. “I francesi al termine della lavorazione mi dissero che mi ero sbagliato, che Volonté era un angelo”.

Ma il debutto vero con la produzione cinematografica avviene nel 1963 con “Una storia moderna: “L’ape regina” per la regia di Marco Ferreri. Marina Vlady, la protagonista femminile, fu premiata come miglior attrice al Festival di Cannes. E per Sansone fu la svolta. “L’Ape Regina – racconta Sansone – andò così bene che mi fece davvero pensare che potevo fare il produttore cinematografico. L’avevo coprodotto assieme alla Embassy Mi era costato 250 milioni e lo vendetti per 250mila dollari”.

La Sansone Production nel 1964 si cimenta in un nuovo film “Il magnifico cornuto” con Ugo Tognazzi e Claudia Cardinale. Prosegue un sodalizio con Ugo Tognazzi che durerà per qualche anno. E’ il periodo della commedia all’italiana. Ed anche Sansone, cede ad un cinema più da botteghino, intrecciando storie tra l’ironico e il satirico che giocano sulle coppie, il matrimonio, l’amore. Nel 1965 Tognazzi lavora ancora per Sansone ne “La Marcia Nuziale” film in quattro episodi satirici su famiglia e matrimonio.  Nello stesso anno Sansone produce anche “La moglie americana”, per la sceneggiatura del grande Ennio Flaiano, ed ancora nel 1966 “Come imparai ad amare le donne”.

Tognazzi è ancora l’attore di punta e nel 1967 Sansone gli finanzia anche la regia con il film “Un fischio al naso”. Lo stesso Sansone la sintetizza. “Il protagonista, un uomo di affari un giorno comincia ad avvertire un malore, tutti lo rassicurano, ma lui continua ad avvertire questi fastidi e di volta in volta sala un piano di questo edificio fino al settimo piano dove poi, in dissolvenza, praticamente per lui arriva la morte”.

E’ il periodo della collaborazione con Rafael Azcona, sceneggiatore spagnolo. Dai suo ricordi esce un affresco di una Madrid antifranchista. “La sera ci riunivamo in un bar – racconta – vigeva in qualche modo uno ius mormorandi. Non si poteva esplicitamente contestare Franco ma il mormorio era tollerato. E ricordo in quelle serate tirate fino all’alba che uno dei giochi preferiti dei miei amici era quello di immaginare a quali alberi della gran via sarebbero stati impiccati i franchisti”.

Con il documentario “America Paese di Dio” prodotto nel 1966 con testo e commento di Italo Calvino, Sansone si unisce nella produzione con Enrico Chroscicky

La nuova fase della produzione cinematografica di Sansone attorno al 1967 guarda al western. Una novità segnata anche dal nome. Alfonso Sansone diventa Al Sansone e entra in coproduzione con Chrosciky. Nasce la Sancro. “Chroscicky era un polacco. Aveva – racconta Sansone – un così forte richiamo con il cinema che come risarcimento della prigionia di guerra si fece finanziare un corso da operatore alla centro di cinematografia di Roma. Ma non fece mai l’operatore. Era un grande uomo di cultura, un vero appassionato di Cinema”. La Sancro inizia a produrre Western. Arriva nelle sale cinematografiche “I giorni dell’ira” con Lee van Cleef e Giuliano Gemma. Cleef sarà l’interprete anche con Bud Spencer e Antonio Sabato, nel 1968 di Al di là della legge. Nello stesso anno Sansone produce Commandos. Nel 1970 tutta la macchina della Sansone produzione si sposta dall’America alla Bulgaria. Si gira “Strogoff”. “Nella produzione – racconta Sansone – lavorò anche Eriprando Visconti detto Prandino, nipote di Luchino. Per molte scene, come le cariche, impiegammo il vero esercito bulgaro”. Nel 1972 si gira di nuovo oltreoceano. Si produce “Una ragione per vivere e una per morire”, un film costato più di un miliardo sulla guerra di successione per la regia di Tonino Valeri (attori James Coburn e Bud Spencer) e “Si può fare amigo”. Nel cast di questi film torna Bud Spencer. “Si può fare amigo” e il film che mi è costato di più. Fu un grande incasso”.

I ricordi di Sansone sono una miniera. Con precisione descrive l’epoca in cui i produttori riuniti nell’Anica, di cui Sansone è stato nel Consiglio di Amministrazione, protestavano contro Berlusconi. “Organizzai un incontro. I più infuriati erano i produttori delle piccole sale emiliane. Chiamai Berlusconi che accettò di venire. Le adesioni a questo incontro furono tali – racconta Sansone – che dovemmo affittare a Firenze un teatro. Quando Berlusconi entrò si levarono fischi e proteste. Un titolare di sala cinematografica era addirittura salito in piedi sulla poltrona ed inveiva contro Berlusconi. “devi morire” gli urlava. “ti deve venire il cancro” aggiungeva. In questa situazione dissi a Berlusconi che se voleva avrebbe potuto rinunciare a prendere la parola. Ma lui non si scompose. Prese la parola e parlando delle nuove prospettive per il cinema che venivano dalle tv commerciali riuscì a conquistare la platea. Doveva parlare 20 minuti parlò invece per un ora”. Pensai “se quest’uomo si butta in politica…”.

Un altro episodio di vita è ai funerali di Dino Risi alla Casa del Cinema di Roma. “Io e Monicelli arrivammo un po’ in ritardo. La sala era piena”. “Con Mario ci dicemmo di facciamo vedere e poi andiamo via. Ma quanto ci videro ci fecero segno e ci fecero sedere ai primi posti. Dal palco chiamarono Monicelli a dire qualcosa. Lui non voleva andare anche perché c’erano delle scale da salire. Poi andò e disse. “Lo so perché volete che parli io perché pensate che sarò il prossimo””.

Sansone, dalla sua casa di Trevignano Romano, dove quando può va a vedere le proiezioni al glorioso Cinema Palma, non ha smesso di vigilare sulle sorti del cinema italiano, sulla crisi odierna e sulle sale vuote. “Un tempo – si vendevano 800 milioni di biglietti. Oggi non più di cento. Il cinema ha subìto il primo grande colpo con l’arrivo della televisione. Poi quando arrivarono le tv di Berlusconi c’è stato un nuovo crollo del 50 per cento”. “Più che ai soldi – ci tiene a sottolineare – io sono stato un produttore che ha cercato di fare film di qualità. Quando mi sono state proposte cose d’autore l’ho sempre finanziate”.

Graziarosa Villani

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