Un team internazionale di ricercatori, fra cui alcuni studiosi dei dipartimenti di Scienze della Terra e di Scienze dell’Antichità della Sapienza, ha ritrovato nel sito archeologico di Notarchirico in Basilicata, già noto per precedenti scavi, utensili in pietra scheggiata riconducibili alla cultura Acheuleana del Paleolitico inferiore associati a una datazione che consente di spostare indietro nel tempo l’origine dell’’Acheuleano in Europa. I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista Scientific Reports
Il sito di Notarchirico, nei pressi di Venosa in Basilicata, da decenni è oggetto di diversi studi archeologici e geo-paleontologici. Dal 2016 le campagne di scavi sono condotte da un team di ricerca internazionale guidato da Marie-Hélène Moncel del Département Homme et Environnement del Museo nazionale di storia naturale di Parigi, che vede coinvolti studiosi dei dipartimenti di Scienze della Terra e Scienze dell’Antichità della Sapienza.
Qui, i ricercatori hanno recentemente ritrovato manufatti riferibili all’Acheuleano, una cultura del Paleolitico inferiore caratterizzata sia da manufatti litici a forma di mandorla, i bifacciali, lavorati su due lati in modo simmetrico, utilizzati, a Notarchirico, per attività di percussione su materiale duro, sia da schegge litiche utilizzate per lavorare tagliare e raschiare vari tipi di materiali. I risultati dello studio, pubblicati sulla rivista Scientific Reports, dimostrano che gli strumenti rinvenuti nel sito di Notarchico costituiscono le più antiche testimonianze acheuleane in Europa occidentale e consentono di spostare indietro nel tempo l’origine di questa cultura.
La datazione dei livelli vulcanici nel sito archeologico ha infatti permesso ai ricercatori di datare le scoperte tra 695 e 670 mila anni fa, periodo cronologicamente vicino ai siti francesi di Moulin-Quignon e la Noira.
“La grande variabilità delle attività effettuate dall’Homo heidelbergensis a Notarchirico grazie all’industria litica scheggiata – spiega Cristina Lemorini del Dipartimento di Scienze dell’antichità – testimonia una umanità molto adattabile e capace di sfruttare in modo molto diversificato l’ambiente in cui si trovava”.
L’arco di tempo identificato dagli studiosi corrisponde a un periodo caratterizzato da condizioni climatiche molto instabili, che includono episodi glaciali e interglaciali. Durante le intense fasi glaciali è probabile che le popolazioni abbiano costruito, in quei luoghi e lungo le vie su cui si spostavano, una delle cosiddette “aree rifugio”, di cui un esempio è il percorso che attraverso la Sicilia potrebbe aver collegato le antiche migrazioni dall’Africa settentrionale all’Europa.
“I nuovi dati ottenuti – aggiunge Raffaele Sardella del Dipartimento di Scienze della Terra – testimoniano come l’ambiente fosse caratterizzato dalla presenza di molte specie animali. Erano diffusi grandi mammiferi come elefanti, ippopotami, bisonti e cervidi, oltre a diversi roditori, che forniscono importanti indicazioni paleoambientali e cronologiche. Inoltre a Notarchirico è stato possibile identificare per la prima volta la presenza della bertuccia, un primate largamente diffuso in Europa durante il Pleistocene”.
Il rinvenimento e la scoperta delle prime testimonianze della presenza umana in epoca pretostorica, si devono alla passione e alla capacità scientifica dell’avvocato Pinto e del professor Briscese che, nell’estate del 1929, effettuarono le prime ricognizioni sul territorio, portando alla luce i primi significativi reperti.