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A Bracciano il convegno Coba-Gasp “Educare alla pace, prevenire i conflitti”

Cobas

Il territorio di Bracciano e della Tuscia ci offre continuamente interessanti attività culturali: e il corso per docenti “Educare alla pace, prevenire i conflitti”, che si è tenuto al Teatro del Lago di Bracciano venerdì 18 ottobre, non delude il suo pubblico.

L’incontro, aperto al coinvolgimento di tutto il territorio, è stato organizzato a cura del CESP, Centro Studi pe la Scuola Pubblica, dei COBAS, e dell’associazione GASP.

Il GASP è un’associazione di promozione sociale e culturale, a forte vocazione antifascista, che ha già avuto modo di farsi notare nelle ultime estati per l’organizzazione – proprio a Bracciano – di un pregevole festival cinematografico. E’ il giovane Presidente Giacomo Rossetti a introdurre vivacemente il convegno, che verte sulla progressiva militarizzazione delle scuole italiane, monitorata dall’Osservatorio Nazionale contro la Militarizzazione delle Scuole e delle Università, Osservatorio a cui aderiscono sia il sindacato dei Cobas, sia l’ANPI di Bracciano che il Gasp. Fondato alcuni anni fa, l’Osservatorio raccoglie numerosissime adesioni tra il mondo delle scuole e tante organizzazioni pacifiste italiane, sia laiche che cattoliche (per esempio “Pax Christi”). Scopo dell’Osservatorio è esercitare una vigile attività nel denunciare il clima sempre più bellicista che, sia pure con modalità spesso accattivanti, si è instaurato nelle scuole italiane da diversi anni. Nel suo intervento Rossetti analizza brevemente la situazione politica internazionale, citando i conflitti in corso in Ucraina e Medio Oriente, che sono presentati all’opinione pubblica occidentale con opportuna narrazione, in modo da farli considerare normali e quasi inevitabili. Questa narrazione, continua Rossetti, che è adottata dalla maggior parte dei media italiani ed europei, condiziona e inquina la discussione e il ragionamento nella società, compresa la Scuola. Per questo è importante un incontro come questo, che ci porta a ragionare insieme su come fermare una escalation comunicativa. Il pericolo è presente persino nella Scuola, che come luogo di formazione sta portando le nuove generazione ad abituarsi a una società basata su violenza, guerra e morte.

Nel corso del Convegno è stato possibile assistere alla proiezione di Innocence (2022), docufilm del regista israeliano Guy Davidi, uscito brevemente nei nostri circuiti commerciali lo scorso aprile. Davidi ci dà una testimonianza drammatica e potente del disagio psicologico di molti giovanissimi israeliani che, pur essendo fedeli patrioti, non riescono ad accettare l’esasperata ideologia nazionalista e bellicista a cui, fin dai giorni dell’asilo, li educa il sistema scolastico israeliano. Attraverso una serie di stimoli e giochi educativi, i bambini sono sollecitati a prendere pian piano

coscienza che servire la patria nell’esercito è un ‘occupazione nobilitante e indispensabile. Li si porta a familiarizzare con armi e carri armati, a visitare basi militari, a studiare la storia dell’Olocausto come radice di uno Stato che è la loro Terra e il loro rifugio, e che, purtroppo, deve confermare di giorno in giorno con le armi il suo diritto ad esistere e a difendersi dal terrorismo, che incombe come minaccia continua. In un crescendo di pressione psicologica, che si fa sempre più forte nel corso dell’adolescenza, la gioventù israeliana viene guidata ad aderire con entusiasmo al servizio di leva obbligatorio, che dura due anni per le ragazze e quasi tre per i ragazzi. Si potrebbe forse optare per una obiezione di coscienza, o ricorrere ad una esenzione per motivi di salute mentale, ma pagando costi sociali e personali altissimi, perché la società israeliana – pure molto democratica e libertaria – non tollera che si metta a rischio il concetto di Sicurezza dello Stato affidata al suo esercito, alle sue reclute. Come emerge chiaramente dalla testimonianza di Davidi, anche i giovani dal pensiero “divergente”, intimamente pacifisti, cercano di sfidarsi e di adeguarsi al dovere di difendere la patria. Ma questa violenza interiore a cui si autocostringono, arruolandosi e impugnando il fucile, genera in molti, troppi di loro, la perdita dell’Innocenza: e ci sono testimonianze terribili di lettere e diari.

“Dovrei arruolarmi come tutti, ma contro la mia coscienza? . “Scappiamo via di qui per vivere da esseri umani. Liberi”: “Liberiamoci dell’esercito”. “Niente di questo mondo ha senso nella mia testa”. “Qui mi sembrano tutti assassini”. ”L’esercito è il male nel mondo”.

E si potrebbe continuare a lungo con le citazioni. La soluzione a questo crescente senso di frustrazione e impotenza diventa per moltissimi di loro quella più drastica, il suicidio.

Alla fine della proiezione si apre un dibattito con il pubblico, introdotto dagli interventi di Antonio Mazzeo e Roberta Leoni, entrambi docenti ed esperti del mondo della scuola ed entrambi tra i fondatori dell’Osservatorio. Mazzeo è l’autore di un saggio utile a chi volesse approfondire la dimensione del problema, La scuola va alla guerra, (edito dal Manifesto, 2024) frutto della sua intensa attività di ricerca. Innocence non è una parabola che riguarda solo la scuola israeliana, commentano Mazzeo e Leoni. Anche in Italia le forze armate da diversi anni propongono una miriade di iniziative a istituti scolastici e universitari, e spesso coinvolgono persino i percorsi di alternanza scuola-lavoro previsti per le scuole superiori. Queste proposte, spesso molto accattivanti, sono ambite dal Ministero dell’Istruzione, dai vari Uffici scolastici regionali e provinciali, dalle singole scuole e università, che firmano

volentieri accordi con i rappresentanti dell’esercito. Le zone più coinvolte in questo processo di militarizzazione sono quelle in cui la Nato è presente con più evidenza, come la Sicilia, la Sardegna, il Veneto, la Toscana e anche luoghi a noi più vicini: Pratica di Mare, Viterbo, Roma e la stessa Bracciano; ma in realtà ormai tutto il territorio nazionale è soggetto alla stessa pressione da parte delle Forze Armate e delle industrie militari.

Perché esiste questo bisogno di conquistare le menti? L’analisi di Mazzeo parte dal conflitto USA –Vietnam, contestato e messo in crisi dalle nuove generazioni di tutto il mondo. E’ da quel momento che si è cercato il consenso dei giovani, indispensabili per fare una guerra. E a ottenere consenso e adesione mirano le proposte delle forze armate ai giovani. Proprio alla luce della attuale dolorosa situazione bellica internazionale, possiamo affermare, continua Mazzeo, che in Italia oggi stiamo già vivendo una economia di guerra. Tutto il nostro sistema economico (cantieri, ricerca energetica, istruzione…) è finalizzato – a ben guardare – alla crescita del sistema difensivo nostro e dell’alleanza Nato. Basta consultare il sito del Ministero della Difesa per rendersi conto che si approvano quotidianamente progetti militari pluriennali, per costi di centinaia di miliardi. Ci stiamo attrezzando per ricevere persino ulteriori armamenti nucleari, perché tra le potenze si va diffondendo la teoria che le armi nucleari tattiche potrebbero essere usate in modo sostenibile, senza troppi danni collaterali… Abbiamo aziende che producono sofisticati armamenti, che in modo diretto o indiretto arrivano ai contendenti che le richiedono (in barba alle ridondanti dichiarazioni ufficiali). Come risulta sempre dal sito del Ministero della Difesa, si stanno investendo enormi fondi pubblici, centinaia di miliardi, per potenziare le basi militari, specialmente le basi NATO e USA. Partecipiamo con migliaia di uomini ad esercitazioni congiunte della NATO, che simulano attacchi nucleari, e le nostre basi vengono attrezzate per accogliere un crescente numero di testate nucleari. E’ previsto a questo scopo il potenziamento del porto di Genova, mentre si progetta che Trieste diventi il porto militare rivolto all’Est europeo. Da Sigonella partono aerei USA e Nato che per operazioni di spionaggio, intelligence, accecamento di sistemi radar e di comunicazione. Pratica di Mare è hub di eccellenza per apparecchiature NATO, satelliti capaci di mappare tutto il territorio dell’Est Europa, fino alla Russia.

E se parliamo dell’invio delle armi: per l’ Ucraina, scopriamo che siamo l’unico Paese a cui rimane nascosta all’opinione pubblica l’entità e la tipologia degli armamenti inviati, che rimane per legge segreta. Scopriamo quasi per caso dalle foto russe che questo e quell’ordigno sono di fabbricazione italiana. Mentre è appurato che i droni

supersofisticati che aiutano Israele nei bombardamenti e nel monitoraggio dall’alto delle coste libanesi, siriane e libiche, sono prodotti a Domus Nova, in Sardegna. Negli ultimi cinque anni abbiamo fornito a Israele 90 milioni di euro in armamenti. Anche in modo indiretto, tramite la mediazione del Pentagono. Il cannone che ha distrutto il porto di Gaza, montato su navi tedesche, proviene da Leonardo (azienda che produce apparecchiature militari) ed è prodotto a La Spezia.

Ma anche nel resto dell’Europa la situazione non migliora: abbiamo testate nucleari in Polonia e nelle Repubbliche Baltiche; le Forze Armate schierate nell’Est europeo sperimentano attacchi e nuove tecnologie che la Nato si prepara ad adottare. Ci stanno segretamente preparando a sostenere guerre batteriche, chimiche, nucleari.

E – in questo panorama inquietante per lo più ignorato dalla grande informazione edulcorata dei media – tutto il mondo militare si indirizza ai giovani, in una scintillante ostentazione di captatio benevolentiae. Le migliori menti fra docenti e studenti universitari siedono al tavolo della NATO e partecipano alla progettazione di esercitazioni militari in cui vengono testate strategie ed armamenti. Leoni cita un caso emblematico: il Liceo “Matteucci”, interamente digitale, gestito e sovvenzionato dall’azienda Leonardo, che fornisce il 50% dei docenti, e che nel triennio garantisce agli studenti importanti stage di formazione aziendale. Persino lo sport è coinvolto: quando i giovani atleti vogliono praticare uno sport ad alto livello le Forze Armate sono le uniche istituzioni che garantiscono adeguati percorsi di allenamento retribuito.

Ecco perché esiste l’Osservatorio, e l’importanza che assume il lavoro dei docenti, concludono Mazzeo e Leoni: occorre allertare le famiglie e gli studenti, allenarli a valutare i rischi di quello che potrebbe essere un condizionamento pericoloso. La Scuola non può diventare portatrice di modelli e valori che sottintendono bellicismo e nazionalismo, preparando psicologicamente i ragazzi ad accettare in modo passivo e acritico il coinvolgimento in conflitti che stanno covando ormai a livello mondiale, e che potrebbero esplodere in modo incontrollato. La scuola deve continuare a proporsi, come già si sforza di fare, come luogo di pace e di accoglienza, portatrice di un sapere dal vasto respiro internazionale, portatrice di un globale messaggio umanistico di pace e non violenza. E appare opportuno citare ancora il giovane Rossetti, che rivolge ai docenti una appassionata esortazione: “…occorre che la scuola torni a trasmettere valori come la pace, la giustizia sociale, la lotta al razzismo, l’uguaglianza, l’inclusione (…) occorre tornare ad una comunicazione con gli studenti diretta e alla pari, (…) a costo di sacrificare per il tempo necessario il “programma da seguire”. Sarà fondamentale tornare a parlare di attualità, di pace e soprattutto di guerra, con franchezza, come si parla tra pari, senza paura di trasmettere punti di vista radicali e critica aperta al potere”.

Grazia Caruso – Cobas Tuscia

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